La Rocca e il Museo
Il visitatore viene scoprendo quasi all'improvviso la Rocca di Fontanellato, percorrendo strette strade di impianto medioevale, dove si aprono minute botteghe sotto bassi portici dagli architravi in legno e dalle rustiche pilastrature.
E appena s'intravede l'isolato e solitario castello lo spazio, che prima appariva angusto e tortuoso sembra dilatarsi, espandersi in una vastità difficile da misurare.
La Rocca, isolata da un grande fossato - "peschiera" non casualmente è detto nei documenti antichi si presenta con un'eleganza aristocratica singolare, che la rende inconfondibile nel pur vario e ricco panorama di castelli, che dal Po alla montagna, punteggiano il territorio di Parma.
Castello che non ha perso nulla del fascino che gli deriva dall'esser stato una costruzione di difesa militare nei tempi ferrigni ed aspri del medioevo. La cinta esterna venne eretta, a partire dal torrione quadrato posto a nord
che in origine era molto più alto probabilmente dopo il 1386 e completata su pianta quadrata prima della metà del '400. Negli altri angoli abbiamo invece torrette tronco-coniche, aggettanti su beccatelli.
La "Pianta della Città di Parma e suo territorio con parti del Borghigiano e Reggiano" conservata nell'Archivio di Stato di Parma (Raccolta di Mappe e Disegni, voi.2, 71.85) databile tra il 1460 e il 1465, mostra il castello di Fontanellato in quell'epoca ormai completato nelle sue strutture fondamentali.
Il mastio, cioè la torre più alta, è posto verso ovest. L'immagine, dipinta a tempera su pergamena con prospettiva a volo d'uccello, non permette di valutare se essa è inserita, all' Italiana, nel cortile, oppure nell'apparato murario.
Sempre la torre aggettante di facciata è stata trasformata nel 1688, da Alessandro Sanvitale in cappella, dopo che il locale a piano terra era stato usato come legnaia aia, per un certo periodo.
La cappella più antica si trovava in un locale dello spazio oggi occupato dagli uffici comunali.
Allorché fu costruita la nuova cappella furono anche modificati alcuni ambienti al primo piano quali appartamenti per la contessa e ristrutturati in modo da poter servire da cantoria e da consentire ai Conti di assistere alla messa, salvaguardando la propria privacy.
Probabilmente è a questo intervento che si deve la chiusura e la scomparsa per alcuni secoli di una nicchia affrescata a due strati e riportata alla luce durante i lavori di costruzione dell'ascensore ai piani superiori del 1996. Un bel San Giovanni di epoca tardo quattrocentesca è sovrapposto ad una crocifissione precedente di cui si nota traccia, parte dell'antica cappella.
Nella stanza superiore dell'attuale cappella è ancora conservato l'organo originario portatile costruito dal bolognese Giampaolo Colonna.
La volta di questa torre d'ingresso fu decorata agli inizi del cinquecento con stemmi di famiglie collegate ai Sanvitale. La decorazione tuttavia, dopo che fu portata alla luce nel 1840, ha subito diverse ridipinture, che ne rendono difficile la datazione esatta. Sin dal XVI secolo su questa torre era l'orologio, anch'esso più volte modificato con l'aggiunta di campane una fu fusa da Alessio Alessi nel 1639 - e mutamenti dei meccanismi.
Lo stesso conte Alessandro Sanvitale, sul finire del '600, fece costruire un nuovo orologio da lui ideato e studiato.
Restauri imponenti nel 1997, curati dall'esperto in orologi antichi da torre Alberto Gorla, hanno riportato al funzionamento un meccanismo seicentesco di grande interesse storico e artigianale; per un approfondimento sul modo per lo meno originale, di suonare le ore si rimanda alla scheda "L'orologio della torre, ovvero dell'instancabile volo del tempo".
Inoltre l'orologio è stato dotato di tre nuove campane nel rispetto delle tre originarie.
Altre più radicali trasformazioni l'edificio subì nel secolo scorso allorché vennero abbattuti interi blocchi, già costruiti sul terrapieno, per ottenere, a sud, il giardino pensile, o per ripristinare, rispetto alle superfetazioni portate, dai secoli, il carattere medioevale, in una rilettura in chiave scopertamente romantica, soprattutto nel 1878, dal capomastro Giuseppe Allegri e dai Sanvitale suoi committenti.
Così una corretta rilettura dell'edificio oggi è difficile, specialmente nel cortile, dove diverse sono le tracce di aperture e chiusure. Originaria, seppur restaurata, la quattrocentesca scala a volte che conduce alla loggia superiore, così come originario è il porticato che al piano terra si sviluppa sul lato nord-est.
Le finestre ogivali si aprono su tre lati del cortile con gusto tardogotico.
La corte se ricorda ancora la fortificazione, ha tuttavia nell'uso elegante del cotto, nella ricercatezza del doppio loggiato, nel gioco chiaroscurato delle aperture una certa grazia signorile. Così tutta la Rocca di Fontanellato unisce il senso di forza e di compatta solidità propria delle costruzioni militari con una grazia, un po' acerba, ma evidente, proprie di un'età signorile, che veniva scoprendo l'umanesimo e con esso i piaceri dell'intelligenza e del vivere.
Ad una visione romantica di un passato guerriero richiamano gli ampi sotterranei; vere e proprie grandi gallerie che percorrono, al di sotto, il maniero, che servivano come scuderie e come alloggiamento delle truppe, e la darsena che offriva un approdo per arrivare o fuggire per via d'acqua.
Nei sotterranei erano anche un pozzo e strutture per le "bugadore" ed il forno, elementi ancora in gran parte visibili, anche se non aperti al pubblico. Nel XVI secolo vennero trasformati in cantine i locali di servizio. Questi spazi affascinanti meriterebbero indubbiamente di essere recuperati.
Agli ambienti del sottosuolo si accedeva per due scale, delle quali una era appositamente costruita per far scendere e risalire i cavalli e il bestiame, che, in caso di assedio, si radunava per garantirsi la sopravvivenza.
Nella Rocca vi erano non solo le abitazioni dei feudatari e dei loro familiari, ma anche quelle dei servitori, dei soldati, l'armeria e locali nei quali si rendeva giustizia e ci si riuniva per trattare gli affari politici ed amministrativi.
Il mutare delle esigenze, nel tempo, ha profondamente modificato i locali, la
loro distribuzione e le loro funzioni, per cui è molto difficile oggi poter
individuare la originaria conformazione.
Per questo il visitatore ora può avere la stessa impressione che ne ebbe il Fontana nel 1696: "Per lo significato disordine delle stanze copiose, quasi in un intrigato labirinto mi perdo".
Un labirinto che ha però il
fascino delle cose da scoprire poco per volta, delle sorprese e delle novità
che offre ad ogni angolo, delle meraviglie grandi e piccole che cela, ma che
anche sa offrire all'osservatore attento.
Dedicato ad una rustica
Flora, come si legge su una lapide slavata dal tempo, il giardino pensile è
stato ottenuto da una ristrutturazione operata, da Luigi Sanvitale a metà degli
anni trenta del secolo scorso e con l'abbattimento di una parte di un edificio
preesistente, per cui nell'antico terraglio si è ricavato uno spazio per
passeggiare, contemplare il paesaggio, conversare amabilmente con gli ospiti e
godere del rapporto con la natura seppur artificiosa come e quella di un
giardino.
I locali abbattuti appartenevano alle cucine ed ai servizi ad esse annessi.
Sul lato occidentale del
giardino una serie di edifici, anch'essi un tempo adibiti a servizi, oggi sono
stati ristrutturati per accogliere l'archivio storico coinuila le, che conserva
una interessante documentazione completa dall'epoca napoleonica in poi e una
serie di oltre 300 mappe e disegni di proprietà rurali e di edifici, che
appartennero ai Sanvitale, databili dal XVIII al XIX secolo, restaurate e
catalogate.
La Camera ottica
Il punto d'incontro tra
l'incantato maniero, isolato dall'acqua e chiuso dalle alte molteplici mura,
dalle merlature che incidono il cielo, e il borgo, il mondo esterno, è dato
dalla camera ottica posta nella torricella che chiude il giardino pensile e
aggetta verso sud.
Un tempo questa torretta più alta era una prigione a più piani. Entrati
nella antica segreta e chiusa la porta, oggi, si viene avvolti da una spessa
ombra, da densi odori salmastri da grotta. Attraverso la leggera angoscia e la
vertigine per un vago senso di claustrofobia si fa strada la percezione di un
curioso fenomeno, per cui su di uno schermo concavo si formano delle immagini
che, si viene lentamente scoprendo, appartengono al mondo vivo e mutevole di
coloro che percorrono la piazza, che si scorgono nitidamente voltando loro le
spalle, attraverso una piccola apertura.
Nulla sfugge di ciò che è all'esterno al raggio di luce, che filtrato attraverso un sapiente gioco di prismi, proietta immagini come se esse attraversassero i muri, come se, godendo di un nascondiglio privilegiato fosse possibile sorprendere la realtà nel suo svolgersi. Non si tratta, come fantasie troppo sbrigliate hanno immaginato, di un sottile artificio inventato dai Sanvitale per controllare i loro sudditi, ma di un gioco di società della fine del secolo scorso, che denunciava tuttavia le suggestioni positivistiche nei progressi della scienza - ideologia cara, nel tempo, a molti dei membri della famiglia dei signori di Fontanellato.
Dei due sistemi di specchi quello che guarda verso la piazza permette di cogliere nitidamente le immagini.
L'Oratorio
Collocato nella parte superstite dell'antico mastio l'oratorio fu costruito,
come si è detto, da Alessandro Sanvitale nel 1688 e fu dedicato a San Carlo
Borromeo, come testimonia anche la pala del senese Antonio Nasini che
rappresenta il santo canunale che unge gli appestati. Vi è anche un affresco di
Bartolomeo Schedoni (Formigine di Modena 1570 - Parma 1615), realizzato tra il
1609 e il 1610, che proviene dalla chiesa dei Cappuccini di Fontevivo e
rappresenta la Madonna, il Bimbo e i santi Giuseppe, Chiara, Francesco, Giovanni
Battista.
Di scuola bolognese settecentesca è il Sant'Ignazio che libera un'indemoniata.
I busti funerari sono quelli di Maria Luigia d1Austria di Giuseppe Carpi (dopo
il 1847) quello di Mana Sanvitale, morta a sei anni di Tommaso Bandini
(1843;> e quello di Stefano Sanvitale (1838 circa;).
Molto bello è l'altare in marmo, coevo alla costruzione della cappella opera attribuita ad Alberto Oliva.