Ex scuderie Sanvitale e villa Gandini
Si tratta di due edifici strettamente collegati seppure in tempi successivi.
La parte di fronte alla Rocca è una costruzione gotico-lombarda che risale al '400 e che forse faceva parte originariamente di un punto fortificato esterno.
Verso la metà del 1600 Alessandro III Sanvitale, quando costruì il teatro, lo completò con un portico a pilastri ottagonali in cotto, sempre con la stessa ispirazione stilistica.
Questo, che si sviluppa sul lato nord-ovest, era probabilmente a servizio del teatro.
Questa opera fu demolita verso la fine del 1700 per far posto alle bellissime serre fredde neoclassiche, tuttora esistenti e incorporate nella Villa Gandini.
L'attuale giardino era, allora, un insieme di orti botanici fino al vallo difensivo. All'edificio delle serre fu affiancato al principio del 1800 il "Conservatorio Femminile", oggi meglio conosciuto come "Casa di S. Napoleone", nel quadro di una ristrutturazione illuminista di tutto quanto circondava la Rocca e destinato alla formazione di una attrezzata e famosa scuola di arti e mestieri.
Durante la Restaurazione l'edificio fu trasformato in civile abitazione e tale rimase fino ai lavori di restauro del 1937 che però non investirono la parte sulla piazza.
Il "Giardino" con il suo cancello di accesso è di ispirazione romantica e fu realizzato dal conte Luigi Sanvitale che lo corredò anche di una interessante meridiana a funzionamento meccanico localizzata in posizione scenografica e datata 1882.
Alla medesima data risale anche la costruzione della "Rocchetta", miniatura del Castello Sanvitale, eseguita dai giovani eredi Giovanni, Mina ed Albertina Sanvitale.
Il conte Giovanni cedette la proprietà nel 1935 al sig. Remo Gandini che provvide ai restauri delle parti murarie.
Il parco e le scuderie con il portico sono proprietà privata.
Chiesa Parrocchiale di Santa Croce
Giberto Sanvitale fece costruire, poco prima della metà del XV secolo, una cappella dedicata alla Santa Croce, che fu completata, alla sua morte (1447), dal figlio Stefano, che provvide ad erigerla a cappellania, costituendole una dote.
Il 29 maggio 1503 fu trasformata da Giacomo Antonio Sanvitale in prevostura e vi furono fondati sei canonicati.
Nell'ottobre 1509 lo stesso conte con i capofamiglia iniziano una pratica per elevare la chiesa a parrocchiale, cosa che fu abbastanza facile, mentre più complesso fu riuscire a renderla indipendente dalla chiesa di San Benedetto di Priorato e di San Salvatore della Ghiara, che in precedenza fungevano da parrocchia per gli abitanti di Fontanellato.
Mentre la separazione da Ghiare fu ratificata il 29 gennaio 1511, da Priorato si ebbe solo, per decisione del vescovo di Parma Guido Maria Conforti, il 24 giugno 1916.
Nel 1503 l'edificio fu probabilmente ampliato e dotato di campanile, come dimostra una delle campane, rifatta nel 1639, che riporta quella data, in forme gotiche, secondo quel gusto padano tipico della nostra zona nell'area dominata dai Pallavicino che usava il cotto in forme eleganti, raffinate a creare complessi ornamenti, come la decorazione intorno al portale d'ingresso, agli archetti intrecciati sul fianco e intorno al rosone della facciata.
La fronte che dà su via Luigi Sanvitale è a capanna, scandita da robusti pilastri. Sono inglobati i resti delle costruzioni precedenti della più modesta cappellania.
Nel 1451 fu eretta la cappella del Consorzio dei Vivi e dei Morti, visibile sulla via L. Sanvitale, da maestro Giovanni de Trichianis da Felino. I lavori iniziati l'8 agosto furono terminati il 5 ottobre.
Anche questo edificio fu quindi abbattuto e successivamente ricostruito ed ampliato nel 1518, su terreno fornito da Luigi Sanvitale, fratello di Galeazzo.
La cappella (non più in comunicazione con la chiesa) fu quindi riedificata nei primi decenni del settecento, ad aula absidata con cupoletta ovale con lanternino.
La decorazione ottocentesca si è supposto che sia di Girolamo Magnani ed è forse databile intorno al 1835, mentre gli stucchi rimasti sono attribuiti a Matteo Rusca. L'edificio oggi è utilizzato come sala giochi della parrocchia.
Ma ritorniamo alla parrocchiale di Santa Croce, il cui piazzale antistante la Rocca fu sistemato nella forma attuale nel 1844 dall'ingegner Vincenzo Rossi.
Questo lato come la facciata subirono ampliamenti restauri operati dal' architetto Lamberto Cusani, agli inizi del secolo, che eliminò le superfetazioni barocche per ripristinare le forme originali.
Questo fianco fu sempre avvertito come incompleto per cui nei diversi tempi si proposero varie soluzioni per trasformarlo in una facciata vera e propria.
Curioso, in questo senso, il progetto presentato nel gennaio 1836 dall'architetto Giovanni Pavarani, che mentre manteneva gli archetti gotici proponeva una grande trabeazione neoclassica con timpano, aggettante rispetto alla parete che fu realizzata.
Tra il 1837 e il 1852 la chiesa, soprattutto all'interno, subì vari rimaneggiamenti, poi eliminati dal Cusani, che rispettò anche l'originaria parte absidale ed il campanile (eretto in tempi diversi), per il quale fu progettato un completamento nel 1874 da Giacomo Sartori.
Il restauro di Lamberto Cusani del 1912 per molti aspetti è stato filologicamente molto più rispettoso di quanto successivamente la critica non abbia ammesso, anche se redatto in pieno revival neogotico.
Più radicale fu l'intervento nell'interno, per cui la chiesa oggi si presenta a tre navate con pilastri polistili in cotto, sormontati da capitelli in pietra, cubici e foglie di loto.
Il presbiterio ha una volta a crociera.
Le cappelle laterali con cupolino sono barocche. All'ingresso due eleganti acquasantiere ottagonali in marmo, forse opera di Alberto Oliva. Sulla retrofacciata una Nascita della Vergine attribuita a Giovanni Bresciani (1606-1609).
Di un parmense attivo agli inizi del seicento è il Battesimo di Cristo, con San Biagio e stemma Sanvitale. La statua della Madonna della cintura è stata realizzata da Giuseppe Perini (1850) su disegno di Luigi Vigotti (1844) e proviene dalla cappella del Consorzio.
Il tabernacolo intagliato e la cornice del palio sono dei primi decenni del XVIII secolo, mentre il Cristo morto è di Giulio Seletti (1714).
Di scuola parmense degli inizi del 1600 è anche l'Annunciazione Santa Lucia con lo stemma Sanvitale. L'altare del presbiterio in marmi è scolpito con lo stemma Sanvitale e i grifi, animali simbolici della casata, sono attribuiti ad Alberto Oliva ed è databile al 1693.
Nel coro, l'ancona marmorea, pure dell'Oliva, incastona l'invenzione della vera croce notevole opera pittorica di Antonio Nasini (1641-1715) senese, che ha realizzato l'opera dopo un lungo soggiorno di studio a Venezia, tra il maggio e l'ottobre 1689.
Il Nasini di ritorno a Siena, si fermò a Parma per copiare il Correggio modello tipico dei tours degli artisti del tempo e qui entrò in contatto con il conte Alessandro Sanvitale o con il prevosto di Santa Croce Federico Sanvitale (morto nel 1693), poiché oltre alla pala della parrocchiale gli fu commissionato anche il San Carlo Borromeo guarisce un appestato, per l'oratorio della Rocca.
I sedili del coro portano la dedica del conte Federico Sanvitale (1696), il cui stemma è intagliato nel parapetto.
Nel corridoio che conduce alla sagrestia è possibile vedere parte del muro originario del lato meridionale della chiesa, sul quale è un affresco rappresentante la Madonna e S. Giuseppe che adorano il bambino, rustica opera devozionale non priva di una certa suggestione, e databile ai primi decenni del XVI secolo.
Posteriore è la scritta devozionale sovrapposta datata al 27 luglio 1590.
La sagrestia ha mobili straordinari, intagliati nello stile di Giovanni Biazzi, ora riportati al primitivo fascino da un accurato restauro.
Lo stemma dei Sanvitale riconferma l'intervento dei feudatari nel sostenere la committenza e le date 1673-1682, ricalcate all'interno di uno sportello, indicano il periodo di esecuzione.
Da un inventano delle chiavi (59) che aprivano i cassetti di questa teatrale costruzione lignea, si ricava che subì un restauro, per cui alcuni cassetti furono fatti di nuovo, nel 1774, sempre a spese dei Sanvitale.
Oratorio dell'Assunta
La prima pietra fu posata il 21 luglio 1572 per volontà di Geronima Farnese, sposa di Alfonso Sanvitale, «in loco nominato dov'era la Maistà della Messa di Giacomo de Compagno appresso el ponte che se passa andare in tela Gazera».
L'oratorio si affaccia sul lato della piazza intitolata ad A. Costa ora, e si presenta nelle forme con cui fu rifatto nel 1720 per volontà di Domenico Bragadini, probabilmente dall'architetto Adalberto Della Nave, o da qualche suo imitatore, poiché la facciata ricorda l'oratorio di San Quirino di Parma.
L'interno fu decorato da Antonio Bresciani nel 1790 con vari monocromi, gli Angeli recanti simboli della Passione e una corona nei medaglioni delle volte, le Coppie dei putti con cartelle nelle due lunette presbiterali e l'Assunta con funzione di pala d'altare.
Molto interessanti anche gli arredi lignei unitari e contemporanei alla ricostruzione dell'edificio.
Il Cristo morto posto sotto l'altare maggiore dovrebbe essere quello eseguito per Santa Croce verso la fine del XVII secolo.
Anche nell'oratorio di Santa Maria Assunta abbiamo una splendida sagrestia con credenzoni intagliati, capolavori del barocchetto parmense, opera quasi sicuramente di Giulio Seletti (1720).
Il pittore Sebastiano Galeotti (1676-1741) completò la decorazione con il Crocifisso e la Maddalena posta nell'anconetta, l'Addolorata e San Giovanni Evangelista sopra le porte e la SS. Trinità sul soffitto.
Il Teatro Comunale
Nel 1681 il conte Alessandro Sanvitale progettò personalmente e fece costruire un teatro posto dietro le scuderie, tra la piazza attualmente denominata Garibaldi ed il giardino.
Di questo teatro, andato perduto, ci sono rimaste l'accurata descrizione di Carlo Giuseppe Fontana (1696) e alcuni affreschi del Boselli, a suo tempo staccati ed ora in Rocca.
L'attuale teatro comunale prospiciente via Luigi Sanvitale venne invece costruito nel secolo scorso.
I Sanvitale furono sempre appassionati di musica e attenti promotori di eventi spettacolari.
Alcuni di loro furono anche sensibili letterati e fini poeti, per cui non stupisce l'attenzione per un luogo deputato a rappresentazioni.
Un teatro aveva anche nel proprio palazzo di città il conte Stefano Sanvitale alla fine del XVIII secolo e agli inizi del XIX.
Così, nel 1855,il conte Luigi Sanvitale offri' un fabbricato di propria proprietà detto La Stalla, che sorgeva sul piazzale della Concia (ora piazzetta Verdi), affinché l'area servisse per erigere un pubblico teatro.
Dalla donazione legalizzata nel 1856 all'approvazione del progetto, nel 1863, passarono diversi anni e non poche furono le difficoltà burocratiche per far accettare l'idea che un piccolo centro come Fontanellato potesse avere un proprio teatro.
Diverse furono anche le modifiche alle quali fu sottoposto l'originario progetto disegnato dall'architetto Pier Luigi Montacchini, presentato nel 1858. Nel marzo 1864 iniziarono i lavori, la cui direzione passò dal Montacchini, chiamato al Ministero dei Lavori Pubblici di Torino, all'architetto Pancrazio Soncini, che portò a termine l'opera nell'ottobre del 1866.
Naturalmente, nel corso degli anni, il teatro, che fu ampiamente utilizzato, specialmente nella prima metà del nostro secolo, per l'allestimento di opere musicali ed in prosa, subì varie spoliazioni e depauperamenti.
Scomparvero così il grande "astrolampo", il lampadario con otto lumi a petrolio, che pendeva al centro del soffitto, la decorazione dello stesso ed è stato tolto l'orologio che sormontava l'arcoscenico.
Fortunatamente nel 1949 fu bocciato un progetto che ne prevedeva la totale ristrutturazione per trasformarlo in sala cinematografica e, nel 1967, l'amministrazione comunale ha attuato un restauro conservativo.
L'esterno si presenta in forme semplici con un'entrata principale affiancata da due entrate laterali con scaletta. La facciata è chiusa da un timpano.
L'interno oltre all'atrio e ad ambienti di servizio ha la sala (112 spettatori possono essere ospitati in platea) con due ordini di palchi.
Al primo piano, in corrispondenza all'ingresso è una caffetteria i cui mobili tardottocenteschi sono stati recentemente tinteggiati.
Il fregio che corre sulla balaustrata dei palchi è opera di Angelo Biolchi.
Il torrione
Si tratta della superstite porta di sopra, che s'inseriva nell'antica cinta muraria costituita, come si è detto, da un forte ed elevato terrapieno difeso da un fossato, che fu smantellato a partire dal 1849.
L'impianto della torre è quattrocentesco (nell'androne sono visibili finestre ad arco acuto). Nel 1511 era abitato da Adriano Bonnano, che ottenne il permesso di trasformare la torre di guardia militare, allora chiamata volgarmente "al toryono dela strata", ristrutturandone la pianta superiore e adattandola ad abitazione per sé e la propria famiglia.
In cambio avrebbe pagato alla camera comitale un candelotto di cera all'anno del valore di un soldo.
Ulteriori trasformazioni dovettero essere fatte, al momento del ripristino della cinta muraria, con terrapieni ed argini, alla fine del XVI secolo. Il cornicione aggettante è sei-settecentesco.
In questo lato del paese è possibile ancora leggere con molta chiarezza la struttura delle antiche difese, mentre il torrione, porta dell'abitato, introduce il turista, suggerendo immagini suggestive ed evocando altri tempi, alla scoperta della minuta ma complessa articolazione viaria del centro storico e dell'incanto dell'apparire improvviso della Rocca.
Santuario della Beata Vergine del Rosario
Fontanellato è conosciuto da molti per la devozione alla Madonna del Rosario che richiama molti pellegrini al Santuario (vedi scheda "Il pellegrinaggio, una curiosità di inizio secolo") che si eleva al di fuori del centro storico ed è diventato specie in tempi recenti, polo di attrazione e di sviluppo urbanistico.
Veronica da Correggio vedova di Giacomo Antonio Sanvitale nel 1512 chiamò alcuni frati domenicani della comunità di Zibello perché assistessero la popolazione di Fontanellato.
Essi si stabilirono nei pressi di un preesistente oratorio del 1397 dedicato a San Giuseppe e distante 300 metri dalle mura della rocca, di proprietà del marchese Galeotto Lupi di Soragna e donato appunto ai frati domenicani.
Anche la comunità venne associata all'impresa.
Questa antica cappelletta ampliata dai religiosi, assieme al convento che vi avevano costruito per abitarvi, costituirono il primo nucleo del Santuario allora dedicato a San Giuseppe (1514).
Nel 1531 convento e chiesa furono saccheggiati dai soldati e i frati li restaurarono entrambi, ma nel 1543 il convento di San Giuseppe veniva demolito per ricavare pietre da usare in fortificazioni.
Nel 1552 i figli di San Domenico tornarono a Fontanellato ricostruendo ancora e tempio e monastero, dedicandoli come prima a San Giuseppe.
Dopo il Concilio di Trento (1563) e dopo i fatti di Lepanto (7ottobre 1571) la comunità domenicana di Fontanellato ordinando (1615) a un anonimo artista di Parma di scolpire in legno la statua attuale che si venera in Santuario, promuoveva la devozione alla Madonna invocata appunto con il titolo di «Regina del Santo Rosario».
Dato il crescente afflusso di fedeli i frati domenicani pensarono ad un edificio sacro più vasto -l'attuale- il quale ebbe inizio nel 1641 e fu inaugurato il 18 agosto 1660. Sempre travagliata fu la storia dei domenicani di Fontanellato.
Vennero cacciati una prima volta da Ferdinando di Borbone nel 1769, da Napoleone nel 1805, di nuovo nel 1866 fino a quando nel 1879 e chiesa e convento dei religiosi (diventato nel frattempo monastero delle monache domenicane scacciate da Colorno) ed ospizio vennero riscattati con pagamento del corrispettivo prezzo presso il Municipio di Fontanellato.
Nel 1906 il Papa Pio X, il giorno 26 settembre, elevava il Santuario di Fontanellato alla dignità di Basilica minore.
La facciata attuale, neo barocca, è stata ideata e progettata dall'architetto Lamberto Cusani nel giugno 1912 e iniziata nel 1913 assieme al corpo aggettante sul fianco.
Come nel restauro di Santa Croce di Fontanellato, così anche nell'intervento sul Santuario il marchese Cusani (Parma 1877-1966) ha operato dopo una lettura filologica attenta dell'edificio, senza snaturare lo stile originario.
La facciata su cui intervenne il Cusani era molto semplice: divisa su due piani da una trabeazione sorretta da sei semipilastri con capitello dorico al piano inferiore e da sei lesene con capitello ionico a quello superiore.
Un frontone triangolare chiudeva l'edificio con un pinnacolo al centro con la croce.
Il corpo laterale era basso e costituito da un ambiente con grandi arcate vetrate.
Mentre per Santa Croce si trattava d'intervenire per recuperare la forma originaria dell'edificio, qui si trattava di dare una dignità architettonica all'edificio che corrispondesse alla nuova posizione basilicale riconosciutagli da Pio X.
Il marmo diventava così l'elemento decorativo principale e la coerenza stilistica dell'architetto è così storicamente e culturalmente precisa che nella sua realizzazione sono state notate notevoli affinità con il progetto di Francesco Francini, architetto del XVIII secolo, conservato nell'Archivio di Stato di Parma e mai realizzato, progetto che con ogni probabilità il Cusani ignorava.
L'architetto contemporaneo ha scelto di creare un gran pronao a tre arcate su colonnato con basamenti e capitelli bronzei, cinto superiormente da una balaustrata ornata di statue di Santi.
Mossa e chiaroscurata è anche la parte superiore che culmina con la ripresa del motivo della balconata e con lo slancio verso l'alto della statua della Fede.
Furono recuperate le statue originali della seconda metà dei XVIII secolo e furono realizzate nuove statue dal prof. Pietro Morseletto di Vicenza.
Nell'incarico affidato inizialmente al Cusani erano previsti anche i rifacimenti della cupola e del campanile che non furono realizzati per mancanza di fondi.
L'interno della chiesa, sottoposto a ripulitura e restauro dal 1997, è ad aula ed era completato il 18 agosto 1660: lesene con capitelli corinzi in stucco che staccano quattro cappelle a ciascun lato; la volta è a botte e nel transetto è la cupola con cupolino, l'abside è poligonale.
Nella volta sono affrescate Quattro storie di S. Domenico, fondatore dei «domenicani» di Pietro Rubini (Parma 1700-1765), che realizzò anche gli ovali con i Miracoli della Vergine databili prima del 1731, come ricorda una testimonianza di quell'anno del priore Lodovico Malaspina.
Di Marco Mazelio sono gli otto paliotti in scagliola policroma tutti firmati e datati 1701, mentre il pavimento alla veneziana è successivo al 1817.
Il grande organo posto nella retrofacciata è opera probabile del cremonese Giulio Sacchi e fu realizzato entro il 1696.
Nella prima cappella a destra l'ancona, dei primi del secolo XVIII, ha la pala di vari Santi Domenicani con Santa Caterina da Siena (1669); la seconda i Santi Paolo, Tommaso d'Aquino e Pietro (1663); la terza ha una bellissima ancona a cariatidi e la pala coeva rappresenta San Domenico in Soriano (1666).
La Statua della Madonna col Bimbo è del 1615 e venne collocata solennemente con una cerimonia d'incoronazione, che fu memorabile, nel tempietto o trono attuale nel 1650, opera di Giovanbattista Guerrini su disegno dell'architetto Carlo Natali.
Ai fianchi del trono si scorgono le statue lignee di San Domenico a sinistra e di Santa Caterina a destra con angeli.
Nel transetto a destra e a sinistra della seconda metà del XVII secolo è una Strage degli Innocenti e Miracoli della Vergine di Pietro Rubini.
Il coro ligneo e altri mobili dovrebbero essere di Giulio Seletti (prima metà sec. XVIII).
Un'attenzione particolare meritano gli ex voto ora tutti raccolti in sagrestia, databili dal XVII secolo agli anni recenti; vicini a noi con una ricchezza di immagini, situazioni, eventi al cui centro è sempre il devoto omaggio alla Vergine di Fontanellato che non sono solo testimonianza toccante di fede, ma anche documenti di vita (vedi scheda "Gli ex-voto e la memoria").
L'altare maggiore a mensa utilizza strutture settecentesche dell'altare smontato della Cattedrale di Parma.
Risalendo verso la facciata del tempio nelle cappelle laterali di sinistra troviamo un Crocifisso ligneo degli inizi del 1700 (nella quarta); una bella ancona con la cimasa decorata dallo stemma dei Farnese con la pala che rappresenta la Circoncisione databile tra il 1663 e il 1666 (nella terza); un'ancona del 1706, coeva a quella della cappella che le sta di fronte e l'immagine di San Giacinto, domenicano, che porta in salvo il SS.Sacramento nell'ostensorio e la statua della Vergine del 1669 (nella seconda cappella); un'ancona degli inizi del '700 con San Raimondo che veleggia sul proprio manto del 1669 (prima cappella).
La statua della Vergine fu nuovamente incoronata il 24 maggio 1925 in piazza Duomo a Parma e alla fine delle celebrazioni, nel piazzale del Santuario di Fontanellato fu collocato il monumento del Beato card. Andrea Ferrari (Lalatta di Pratopiano, Parma 1850 - Milano 1921).
Nel 1971, su progetto dell'architetto Enea Trenti fu costruito il nuovo piazzale davanti al Santuario con arcate da un lato e alberi dall'altro.
All'interno del convento dei religiosi nel 1978 ad opera dell'architetto M. Trenti è stato costruito un moderno chiostro e nel 1996 la adiacente "Casa del Pellegrino".
Il monumento ai Caduti
Posto in Viale Vittorio Veneto il monumento ai caduti della prima guerra mondiale, è stato realizzato dallo scultore Pier Enrico Astorri (Piacenza 1859 - Milano 1921), un artista formatosi a Parma e Genova, noto per il monumento a Garibaldi di Piacenza (1889), i ritratti dello zar Nicola Il e della zarina, realizzati in Russia nel 1896, il Giuseppe Verdi dell'Amministrazione Provinciale di Piacenza e il Cristoforo Colombo di Bettola, oltre che per sculture per il Duomo di Busto Arsizio (1908) e per il cimitero Monumentale di Milano e lo Staglieno di Genova.
Nel 1900 vinse con la filatrice araba, una medaglia alla Esposizione Universale di Parigi, successo riconfermato a Monaco di Baviera l'anno successivo.
Realizzò diverse opere per l'Argentina e l'Uruguay.
Il monumento di Fontanellato, voluto da Luigi Scotti, che fece il discorso ufficiale durante la solenne inaugurazione avvenuta il 15 giugno 1924 alla presenza della regina Margherita di Savoia, rappresenta una Vittoria alata che sorregge un eroe caduto, opera nella quale si riflette il gusto eclettico dello scultore e l'ideologia del tempo.
Appena fuori dal paese in direzione Fidenza, si incontra il nucleo di Priorato con la chiesa di San Benedetto.
La originaria fondazione del monastero di Priorato dovrebbe collegarsi a quella straordinaria opera condotta dai monaci intorno al mille per riscattare i territori padani da paludi e foreste, recuperandoli ad una dimensione storica dopo che le conseguenze delle invasioni barbariche li avevano abbandonati ad un selvaggio e spontaneo ritorno alla preistoria.
Al 1013 risale quindi la prima notizia dell'insediamento di Benedettini dell'Abbazia di Leno in Fontana Lata, in un diploma di Enrico Il.
I beni della "cellam Fontanellatum unam cum viculis et cellis" vengono riconfermati a San Salvatore di Leno da papa Benedetto VIII nel 1019.
Altri pontefici, nei secoli successivi, confermarono questi diritti, mentre il convento parmense non solo andava ampliandosi, ma anche arricchendosi ed estendendo la propria influenza.
La prima attestazione della dignità di Priorato al convento di San Benedetto è del 1332, anche se questa condizione era forse già in atto dal XII o XIII secolo.
Nel 1470 Priorato si stacca dall'abbazia di Leno.
Della plurisecolare storia dell'edificio, sempre strettamente collegato alla famiglia dei fondatori, oggi la chiesa ed il convento non portano tracce, se non delle ultime fasi, dal settecento all'ottocento, come si dirà.
La chiesa fu ristrutturata, come ricorda una lapide del 1745, dalla metà del XVIII secolo per volontà del prevosto Paolo Aimi e del suo successore mons. Carlo Delfinoni, confessore del duca Filippo di Borbone e di suo figlio don Ferdinando.
I lavori proseguirono quindi per diversi decenni e ripresero con maggior lena sotto mons. Luigi Sanvitale nell'ultimo decennio del XVIII secolo e poi nei primi anni del successivo.
La facciata della chiesa, databile al 1751, con mosso fastigio, è stata proposta quale opera dell'architetto Ottavio Bettoli.
L'interno è ad aula strombata all'innesto con abside.
Molto interessanti i mobili e gli arredi ed un organo in origine dipinto a tempera della fine del secolo XVIII. Molto bello anche il mobilio della sagrestia con lo stemma dei Sanvitale, databile dopo il 1804.
Curiosa la peschiera che circonda il giardino posteriormente al complesso canonicale, opere che vengono attribuite generalmente agli interventi voluti dal Delfinoni tra il 1751 e il 1784.
La pittura più interessante rappresenta i Santi Benedetto e Vitale di Emilio Taruffi (1654), mentre una serie di Stazioni della via Crticis (fine 1600- inizi 1700) è stata reimpiegata negli stucchi delle pareti.
Gli altari laterali di San Giuseppe e di San Rocco furono fatti costruire da Luigi Sanvitale ben dopo il 1804.
Interessanti gli ambienti della canonica con un elegante scalone la cui rampa è in ferro battuto, mentre nel volto è un Re Davide forse opera di Paolo Ferrari.